Lalibela, la Gerusalemme nera d’Etiopia

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L'Africa è come uno scrigno colmo di gioie che una volta aperto si richiude a fatica. Lo stesso vale per l’Etiopia: una volta fatto il primo viaggio è difficile resistere alla tentazione di tornare per scoprirla e assaporarla in tutte le sue sfaccettature. Tra le etnie della Valle dell'Omo, i paesaggi superlativi della Dancalia, le feste rituali, i mercati tradizionali e la ricchezza storico-culturale del paese… ce n’è per tutti i gusti! Dell’Etiopia abbiamo già parlato più volte in questi mesi toccando alcuni dei suoi aspetti più caratteristici. Oggi vi racconteremo qualcosa sulle chiese rupestri di Lalibela, una delle tante gemme preziose contenute all’interno del nostro scrigno.

Situata a 2.630 metri di altezza tra le montagne del centro-nord dell’Etiopia, Lalibela è dopo Axum il secondo centro religioso più importante del paese. Sul finire del XII secolo, epoca in cui l’avanzare dell’Islam rese sempre più difficile per i pellegrini cristiani affrontare il viaggio fino in Terra Santa, Lalibela divenne la città santa dei cristiani d’Etiopia e oggi come allora attira ogni anno orde di pellegrini, specialmente in occasione del Timkat, l’epifania ortodossa celebrata il 19 gennaio.

Le chiese rupestri di Lalibela

La città di Lalibela – iscritta nelle liste del Patrimonio dell’Umanità dal 1979 – deve la sua importanza alla presenza del complesso di undici chiese monolitiche scavate nella roccia che costituiscono uno dei migliori esempi di arte etiope medievale.

Secondo la tradizione fu il re Gebre Meskel Lalibela, membro della dinastia Zaguè, a ordinare la costruzione di un santuario tra le montagne del Wag e del Lasta che rappresentasse simbolicamente la Terra Santa, da cui l’appellativo Gerusalemme nera (o Nuova Gerusalemme).

Dalla tradizione alla leggenda il passo è breve: il sovrano, che governò l’Etiopia tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII secolo, avrebbe avuto un sogno premonitore in cui Dio gli chiedeva di costruire delle chiese a Roha (in seguito ribattezzata Lalibela) e per finanziare l’impresa si narra che il re arrivò a vendere i propri figli come schiavi. Sarà per questo che Gebre Meskel è venerato nella Chiesa d’Etiopia come Santo? Chi può dirlo? Nessuno. Anche perché di fatto non si sa con assoluta certezza quando e da chi furono costruite le undici chiese ricavate nell’antica roccia basaltica del monte Abuna Josef che appartengono a epoche molto diverse ma il mistero che aleggia su di loro non fa altro che accrescerne l’interesse e il fascino. Di alcune emerge solo la facciata mentre altre, liberatesi della massa rocciosa, si presentano come parallelepipedi monolitici.

Le undici chiese rupestri di Lalibela sono costituite da due gruppi principali di cinque unità ciascuno e una chiesa isolata, la Biet Ghiorgis (Casa di San Giorgio), un po’ in disparte rispetto alle altre a cui è collegata da una rete di corridoi ancora oggi parzialmente inesplorati e unitamente al villaggio che le circonda rappresenta una testimonianza eccezionale sulla civiltà medievale (e post) in Etiopia.

Diana Facile

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