Sulle orme degli Afar e delle carovane del sale, in Dancalia

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Dancalia. Se solo Dante l’avesse conosciuta, l’avrebbe collocata in uno dei suoi gironi infernali per il sole abbagliante e le temperature elevate che possono superare i 50°C rendendola una delle regioni più inospitali del pianeta. Il National Geographic è arrivato a definirla “il luogo più crudele sulla faccia della terra”, senza con questo voler togliere nulla alla ricchezza e la bellezza dei suoi colori che dal Dallol all’Erta Ale si imprimono nelle retine al punto che basta chiudere gli occhi per rivederli in tutto il loro splendore.

Situata nella zona nord orientale dell’Etiopia, la Dancalia fa parte di una regione nota come “triangolo degli Afar” (dal nome della popolazione autoctona che occupa parte del territorio di Djbuti, Eritrea ed Etiopia) formatasi dopo il Miocene per il distacco della placca arabica da quella africana.

Con il nome Dancalia ci si riferisce alla parte etiope del triangolo, quella vasta depressione che si estende per oltre 600 km lungo la direttrice della Rift Valley e che in alcuni punti sprofonda fino a 120 metri sotto il livello del mare esprimendosi in una moltitudine di scenari mozzafiato scolpiti in diverse ere geologiche che la rendono, oltre che uno dei uno dei luoghi più inospitali al mondo, uno dei più affascinanti.

La Dancalia è terra degli Afar, popolazione seminomade divisa in clan che vive in piccoli villaggi, spesso provvisori, fatti di capanne di stuoie a forma di igloo. Complessivamente sono poco più di un milione e mezzo e occupano un territorio di circa 150.000 km2. Si muovono seguendo il passo dei loro animali, alla ricerca di pascoli e pozzi d’acqua nel deserto. Sono noti per il carattere duro e spesso litigioso, aspetti probabilmente legati alla natura del territorio aspro e ostile su cui vivono.

Gli Afar della Dancalia vivono dalla notte dei tempi grazie all’estrazione del sale dal lago Assal. Con l’aiuto di due lunghi bastoni gli estrattori (i Tigrini dell’altopiano, cristiani) sollevano le lastre di sale che estirpate in maniera grezza dalla crosta del deserto vengono passate agli intagliatori, gli Afar mussulmani. Grazie all’occhio infallibile e alla mano esperta, senza usare il metro e avvalendosi del semplice ausilio di una spatola, gli intagliatori riescono a ricavare al giorno circa 250 lastre di sale perfettamente uguali - nel peso w nella forma - da vendere ai carovanieri che le trasportano a Berahile dove vengono tagliate in pezzi ancor più piccoli e distribuite nei mercati di tutto il paese.

I dromedari che si muovono con la loro solenne lentezza sotto il peso dei mattoni di sale attraverso la pianura arsa dal sole e le valli attraversate da fiumi secchi sullo sfondo della vastità del deserto è una scena di indicibile bellezza che è possibile vedere solo qui. Una finestra sul passato difficile anche solo da immaginare. Uno di quei luoghi, pochi, fermi nel tempo e sempre uguali a se stessi.

Diana Facile

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