La Donga, cerimonia rituale dei Surma nella Valle dell’Omo

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La Valle dell’Omo, nel sud dell’Etiopia, oltre che per la presenza di giacimenti paleontologici in cui sono state scoperte delle ossa attribuite a Paranthropus Aethiopicus, è nota per la presenza di innumerevoli tribù semi-nomadi dedite all’agricoltura e alla pastorizia. Una di queste, i Surma, vive appartata tra le Montagne della Luna, sulle alture a ovest del corso inferiore dell’Omo River ed è una delle etnie meno conosciute – ma tra le più interessanti – dell’intera Africa.

Grazie all’isolamento geografico in cui hanno sempre vissuto – sino a pochi anni orsono non esistevano nemmeno piste sterrate percorribili – e all’ostilità con le tribù limitrofe che rendeva l’area poco sicura, i Surma hanno conservato intatte le loro tradizioni e il loro stile di vita, in primis le modificazioni corporee come il body painting, i sacrifici e i copricapi vegetali.

Il momento rituale più importante dell’anno per i Surma è rappresentato dalla Donga, nota in amarico come Zegine o Saginay, che si celebra  in concomitanza con la fine della stagione delle piogge. Si tratta di una lotta a colpi di bastoni dalla punta arrotondata che misurano due metri di lunghezza, chiamati Daguingo. Ad affrontarsi i giovani più forti dei villaggi che attraverso la Donga dimostrano forza, abilità, destrezza, velocità, astuzia e coraggio di fronte alla comunità difendendo l’onore individuale, quello del gruppo e la loro virilità. Tutto ciò consente al vincitore di acquisire prestigio sociale oltre al privilegio di poter scegliere la donna che gli andrà in moglie.

Riuscire ad assistere alla Donga o non riuscirci è questione di fortuna. È una festa rituale che non si tiene in una data prestabilita e non è ancora entrata a far parte dei circuiti turistici, il che la rende non solo affascinante ma anche estremamente autentica.

La cerimonia della Donga ha inizio al mattino. Giunti nello spiazzo precedentemente consacrato dallo stregone del villaggio, i giovani lasciano bastoni, teli e coperte con cui avevano ricoperto il loro corpo e tra canti e danze si dirigono al ruscello più vicino per lavarsi e prepararsi alla cerimonia. Si dipingono il corpo con maestria e raffinatezza utilizzando della polvere di gesso mista ad acqua o, in alternativa, argilla e acqua e se la spalmano reciprocamente sui corpi realizzando disegni geometrici, righe e motivi decorativi. Anche le donne si preparano all’evento dipingendosi il volto.

La giornata scorre tra estasi e fibrillazione fino al pomeriggio quando inizia ad arrivare la gente dai villaggi vicini e si riunisce nel luogo adibito alla celebrazione della Donga, in cerchio, attorno ai duellanti che si affronteranno fino a decretare la vittoria dell’uno sull’altro.

È lo shimaghilè, l’anziano, a dare il via ai giochi battendo sul terreno tre volte alcuni ramoscelli tagliati da una pianta chiamata fombo. Ognuno dei partecipanti cerca e sceglie con lo sguardo tra le tribù vicine il suo primo avversario. Alcuni di loro, se si trovano a dover affrontare un rivale troppo forte, si tirano indietro e abbandonano la Donga inginocchiandosi di fronte a lui in segno di resa e sottomissione, altrimenti la battaglia prosegue fino a quando uno dei due capitola definitivamente. In entrambi i casi, il capo del villaggio del giovane vincitore spara in aria un colpo di kalashnikov per decretare la vittoria.

Mano a mano che passano le ore, la Donga cresce di intensità con un numero sempre maggiore di partecipanti che si uniscono alla lotta. Alla fine della celebrazione il vincitore sarà uno solo, colui che ha sconfitto più avversari, e verrà portato sulle spalle degli amici di fronte alle ragazze in età da marito perché possa scegliere la sua consorte.

La fine della Donga viene segnata dallo shimaghilè che come in apertura batte tre volte in terra i ramoscelli di fombo.

Diana Facile

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