La vita nella steppa dei nomadi di Bayan-Olgii, in Mongolia

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Delimitata da una frontiera di 3.000 km con la Russia a nord e da quella di 4.700 km con la Cina a sud, la Mongolia è come una noce di cocco incastonata tra due giganti e la provincia del Bayan-Olgii rappresenta un’enclave dentro un’enclave: ben 1.700 km di steppa la separano dalla capitale e 2.000 km di montagne della catena dell’Altaj incappucciate di bianco – con vette che superano i 4.000 metri di altezza – la isolano dai suoi vicini, la Siberia russa e il Xin Jiang cinese. Una regione impervia e inospitale che si caratterizza per il clima secco e folle capace, nel corso della stessa giornata, di passare dalla mite primavera al rigido inverno perdendo tra i 15° e i 20° in un colpo solo.

La provincia del Bayan-Olgii è popolata quasi interamente da nomadi con una minoranza di origine kazaka che si differenzia dagli altri per la professione religiosa (islamismo sunnita non tradizionalista), la lingua (tartaro, più vicina al russo che al mongolo), il modo di vestire (con costumi dai colori vivaci e ornati di gioielli) e le gher (ben più ampie e decorate di quelle mongole tradizionali). Come in buona parte di queste “società primitive”, le donne rivestono un ruolo di primo piano nell’economia generale del territorio occupandosi a tutto tondo sia del ménage familiare sia degli animali.

Rispetto ai nomadi presenti in Mongolia che hanno rinunciato a parte della cultura tradizionale e vegetano nei sobborghi di Oulan-Batir, la capitale, i Bayan-Olggi tengono duro e continuano a praticare la caccia con le aquile, il dressage dei cavalli e la pastorizia. La loro capacità di resistenza e di adattamento all’ambiente ostile in cui vivono è da ricercare in parte nelle origini kazake e in parte nel valore che attribuiscono alla comunità in quanto strumento per affrontare insieme le sfide del presente e prevedere quelle che gli riserva il futuro.

La peculiarità dei nomadi di Bayan-Olgii è, come detto pocanzi, la caccia con le aquile, attività praticata da millenni come simbolo di fierezza che sul finire dell’estate, tra settembre e ottobre, confluisce nell’evento più importante dell’anno: il Festival delle Aquile. Due giorni in cui cacciatori a cavallo avvolti negli abiti tradizionali con i cappelli rossi, accompagnati dagli inseparabili rapaci, si radunando l’ultima volta prima dell’arrivo dell’inverno e sfidandosi in prove di destrezza si esibiscono in uno spettacolo che sembra uscito dai racconti di Marco Polo.

La provincia di Bayan-Olgii è nota anche perché sede del Parco Nazionale Altaj Tavan Bogd, il più esteso di tutta la Mongolia che ospita molte specie vulnerabili a rischio di estinzione – tra cui il lupo grigio, la pecora argali e il leopardo delle nevi (avvistabile grazie a una buona dose di fortuna) – e con il suo susseguirsi di cime innevate, imponenti ghiacciai, profonde vallate e laghi d’acqua cristallina regala allo spettatore scorci a dir poco sensazionali.

Diana Facile

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